Già il fatto che sia un “monte orfano”, suscita in me ancora più simpatia.
Se ne sta li, solo soletto, staccato dagli altri monti. Con quel suo giacere da est a ovest, in un susseguirsi di valli, cime, creste e pendii. Una rappresentazione perfetta dello yin e yang (che tra l’altro fanno riferimento proprio ai due lati di una collina): il versante nord con un microclima più ombreggiato e umido. Quello sud, al contrario più soleggiato e asciutto.
Un dedalo di sentieri che si intersecano, su e giù e poi a mezza costa e ancora a salire o scendere a seconda delle necessità.
Alcuni più frequentati e quasi sempre agibili, altri meno battuti e più facilmente preda dei rovi, che inesorabilmente tentano di chiuderli.
Sentieri la cui praticabilità non è messa in forse solo dai rovi, ma soprattutto dalla fragilità del bosco lasciato a se stesso. Così, stagione dopo stagione, le frane, gli alberi caduti (memorabile l’inverno appena passato) e l’erosione causata dai ruscelli in piena, arrivano a cancellarne addirittura alcuni tratti, che nessuno ha voglia di ripulire o sistemare, perché di poco interesse e ancor meno di utilità.
Normalmente però i danni si riparano e allora c’è la possibilità che quel sentiero fatto decine di volte, all’improvviso non sia più lo stesso e offra nuovi spunti.
Da un certo punto di vista, egoistico forse, sicuramente di parte, non è proprio un male.
La natura fa il suo corso e trova rapidamente un nuovo equilibrio, offrendoci allo stesso tempo un Canto in continuo divenire.